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giovedì 9 giugno 2016

Enogastronomia ligure, on line la directory di Ligucibario

Sono quasi 70 (il totale è in continua crescita) i video di "Enogastronomia Ligure", la raccolta dedicata da Umberto Curti, storico dell'alimentazione e ideatore di Ligucibario a storia, tradizione e ricette del food & wine di Liguria. La playlist figura all'interno di Ligucibario Channel, il canale YouTube linkato al sito omonimo.


mercoledì 25 novembre 2015

La focaccia genovese raccontata da Umberto Curti



Focaccia genovese: i suoi segreti sono l'olio extravergine e le corrette lievitazioni, parola dell'enogastronomo Umberto Curti, saggista e food&wine blogger. Video con sottotitoli in lingua inglese realizzato nell'ambito del progetto CNA Liguria "Scegli Artigiano!".

venerdì 20 novembre 2015

Il pesto genovese raccontato da Umberto Curti

Pesto genovese di basilico: la più famosa salsa al mortaio al mondo raccontata dall'enogastronomo Umberto Curti, saggista e food&wine blogger. Video con sottotitoli in lingua inglese realizzato nell'ambito del progetto CNA Liguria "Scegli Artigiano!".

lunedì 16 novembre 2015

Scegli Artigiano! Liguria del gusto in 23 video

Pesto, pasta fresca, focaccia, farinata, pandolce... e molto altro. Il meglio dell'artigianato e dell'enogastronomia della Liguria è "raccontato" dal canale YouTube "Scegli Artigiano!", creato e promosso da CNA Liguria con il contributo di Regione Liguria. Ecco il trailer dei 23 video "assaggi" proposti dal saggista e food&wine blogger Umberto Curti.

giovedì 29 agosto 2013

La carica delle 101


Si scrive Liguricettario, si legge Liguria...

Sono 101 le ricette liguri sin qui apparse su Liguricettario. Il lavoro proseguirà, ma per la gioia dei liguri e dei tanti che da Genova e dalla Liguria sono emigrati in giro per il mondo (questo blog è avidamente letto perfino a Buenos Ayres...), elenchiamo secondo il dialetto genovese e in ordine alfabetico le 101 tipicità golose sin qui proposte:


Aggiadd-a (sarsa a.) agliata
Agnello cö-e êuve agnello con le uova
Amaretti
Ancioe pinn-e acciughe ripiene
Ancioe sutta sâ acciughe sotto sale
Anixin anicini
Baccalà a-o verde
Baciocca (torta b.) torta di patate
Bagnun de ancioe bagnun d'acciughe di Riva Trigoso
Balletti castagne bollite
Barbagiuai ravioli di zucca fritti
Battolli (di Uscio)
Baxi de Araxe baci di Alassio
Bescheutti caporali savoiardi
Bescheutti do Lagasso biscotti del Lagaccio/della salute
Bibbin a-a storionn-a tacchino alla storiona
Bonetto de laete budino di latte
Brandacujun (stocchefixe a b.) stoccafisso a brandacujun
Buridda
Canestrelletti
Cappon magro
Capponadda
Çeixai co-o zemin ceci in zimino
çimma de porpo cima di polpo
Çimma pinn-a cima alla genovese
çitroin candî scorze d'arancia candite
Ciuppin
Cobeletti
Condiggion
Coniggio a-a carlonn-a coniglio in umido alla ligure
Corzetti tiae co-e die corzetti (Val Polcevera)
Crava e faxêu capra e fagioli
Cubaita
Cuculli frittelle di ceci
Fainâ farinata
Favetta
Figaeto a l’aggiadd-a fegato all'aggiadda
Fracassâ de scorsonaea fricassea di scorzonera
Fratti (leitüghe pinn-e) lattughe ripiene
Friscêu de baccalà
Frïtâ de rossetti frittata di rossetti
Fügassa co-o formaggio
Fügassa zeneize
Funzi e patatte funghi e patate
Gattafuin ravioli salati fritti di Levanto
Gianco e neigro de agnello bianco e nero d'agnello
Imbroggio de articiocche imbrogliata di carciofi
Laete döçe frîto latte dolce fritto
Laxerti co-i poisci sgombri coi piselli
Loasso a-a sâ branzino al sale
Lümasse a zemin lumache in zimino
Machetto salsa d'acciughe
Marò (sarsa/pestun de basann-e) salsa di fave
Menestron
Merellin affogae moscardini affogati
Mes-ciua zuppa di legumi alla spezzina
Muscoli pin muscoli/cozze ripieni
Natalin co-e trippe maccheroni di Natale con le trippe
Pancheutto pan cotto
Pandöçe (basso = sciaccau)
Panella castagnaccio
Panigacci
Panissa
Pansoti
Pescio co-e articiocche pesce coi carciofi
Pesto (de baxeicò)
Piccatiggio piccatiglio
Porpetton de faxolin/s-ciattamaio polpettone di patate e fagiolini
Preboggion co-o riso
Prescinsêua cagliata genovese
Quareximali
Raiêu co-o tocco ravioli col sugo di carne
Rattatuia
Reginette co-e êuve reginette con le uova
Riso a rosto
Riso in cagnon riso in cagnone
Sacripantinn-a (torta s.)
Sardenaira/piscialandrea
Sarsa de noxe salsa di noci
Sarsa de pignêu salsa di pinoli
S-ciümette meringhe
Sgabei
Silüri pin totani ripieni
Spongâ spungata di Sarzana
Stecchi friti
Stocche e bacilli stoccafisso e favette
Stocchefixe accomodou stoccafisso accomodato
Süppa de muscoli
Testaieu testaroli
Tian de Vernazza tegame di acciughe
Tomaxelle involtini di carne
Tonno in sciâ ciappa tonno sulla piastra
Torta de pignêu torta di pinoli/della nonna
Torta de riso rossa
Torta pasqualinn-a torta pasqualina
Tramezzin zeneize tramezzino al tonno
Trippe accomodâe
Verdüe pinn-e verdure ripiene
Vitella a l’oxelletto carne/straccetti all'uccelletto
Zembi d’arzillo ravioli di pesce
Zeraria



Umberto Curti, Ligucibario & Liguvinario

lunedì 30 gennaio 2012

APPLAUSO AFFETTUOSO A VIVIANE





Rose, esiste un fiore che più stimoli la dedizione umana e più, per colori e profumi, interpreti la propria epoca? Da sempre è così, basta scorrere alla voce “rosa” il magnifico Florario di Alfredo Cattabiani (Mondadori, Milano, 1996) per scoprire dentro le rose il sangue la passione la purezza il canto degli uccelli. Dal vivo, poi, i migliori vivai italiani sono letteralmente paradisi in cui perdersi, Barni di Pistoia, Pozzo di Cavaglià, Rose Rifiorentissime di Ciliverghe, Susigarden di Aiello, Vivaverde di Imola, Le rose di Piedimonte di Rieti, laboratori dove la creatività sembra non conoscere confini…
Come non tenere un vaso di rose sul davanzale? Come non ingentilire di rose un orto?
In Liguria, Viviane Crosa di Vergagni è una garbata signora francese che vive a Savignone, borgo rurale che fu dei Fieschi, dove nella propria tenuta coltiva con amore profumatissime rose secondo il metodo biologico e ne ricava anche sciroppo (per biologico intendo petali, acqua, succo di limone, zucchero di canna, ottenendo una densità di circa gradi 31 in scala Baumé). La minuscola azienda, che perpetua un’antica tradizione locale, produce anche gelatine, confetture, e qualche altra prelibatezza a base di sambuco, di viole…
La Valle Scrivia celebra le proprie rose a giugno, stagione del Corpus Domini (in passato era per Santa Rosa, il 23 agosto), ma anche la Valle Sturla e l’area di Pogli (Ortovero-SV) possiedono varietà interessanti. Il Belgrano, l’etnografo ottocentesco dei genovesi, risale addirittura a documenti del ‘300, e le rose s’incontrano anche nel ricettario di Giobatta Ratto, ricetta 513.
Generalmente si tratta di centifolia, nelle varietà cristata (chapeaux de Napoleon) e muscosa, che forse derivano dalla gallica (si confrontino le ipotesi di Hayek e Beales), e hanno petali perfetti * . Ottimamente anche la bella crimson glory, nella foto.
Dalle rose si ricava anche la crema di rose, per quest’ultima è bello “seguire” le esperienze di Libereso Guglielmi, che fu il giardiniere di Italo Calvino, nel cuore d’una riviera ponentina che profumava di colori, se sempre di più gli agrumi facevan posto ai fiori.
Viviane è periodicamente mia allieva, al termine dell’ultimo corso (sul cioccolato) ho ricevuto in dono alcune delle sue produzioni “arci-di-nicchia”. In generale i suoi prodotti, puliti e delicati, regalano note “talcate” di lampone, di risveglio primaverile, lo sciroppo poi ha proprietà benefiche, dissetante e tonico fa anche da sedativo nell’infiammazione delle vie aeree, dunque prezioso d'inverno.
Caro lettore, prima gustali da soli, poi pròvali pure con le ricottine fresche, nei muffin, sul mahallabi… E vedrai che mi sarai riconoscente, anzi sarai riconoscente a Viviane.
* ma per le conserve si ricorre meglio ai frutti della selvatica rosa canina, ricchi di vitamina C


Umberto Curti, Ligucibario & Liguvinario

lunedì 23 gennaio 2012

L’aglio di Vessalico - Una favola di Lorenza Russo



Ho ricevuto pochi giorni fa via mail questa favola a tema alimentare (ma l'autrice ne ha scritte anche altre), l'ho trovata un'idea graziosa e quindi, amico lettore, buon "assaggio"!

Umberto Curti



In paese, lassù a Pieve di Teco, era nota per i suoi splendidi capelli biondi, luminosi come la seta e “lunghi come il torrente Arroscia”, almeno così dicevano tutti, anche se, ovviamente, non era vero. Alia, questo il nome della bambina, era nata in una famiglia di artigiani: il padre era calzolaio, la madre faceva la sarta e ricamava con grande maestria centrini e corsetti. Poche cose divertivano Alia come lo stare affacciata alla finestra – saliva su uno sgabello perché altrimenti non ci arrivava – a guardare il passaggio giù in strada. Si puntellava con i gomiti e con il mento si appoggiava sui pugni, lasciando cadere i capelli sparsi sul davanzale, in modo che i passanti li potessero vedere. I suoi genitori, che nella buona stagione stavano a lavorare sotto i portici, ogni tanto le lanciavano uno sguardo o le facevano un sorriso, che lei subito ricambiava. Da tempo non insistevano più perché andasse a giocare con gli altri bambini lungo il fiume: una volta, per dimostrare “a quegli invidiosi” che non ci credevano che i suoi capelli erano davvero lunghi quanto l’Arroscia, ci si era buttata dentro – per fortuna era estate – e la corrente se la sarebbe portata nel mare della Gallinara se poco a valle un pescatore di gamberi non avesse gettato una rete nella quale la bambina era rimasta impigliata. La madre per castigo l’aveva costretta a tenere i capelli raccolti in una treccia per un mese – un’umiliazione che aveva impedito ad Alia di farsi vedere alla finestra per tutto quel tempo –, il padre l’aveva punita in maniera altrettanto esemplare impedendole di accompagnarlo alla fiera annuale del bestiame di Vessalico, dove lui comprava il cuoio migliore per il suo lavoro. Poi il mese d’inferno era passato, ma per quell’anno la povera Alia aveva perso l’appuntamento che aspettava trepidante: quella fiera era piena di cianfrusaglie, di colori, di profumi e di gente. Non si vendevano solo animali o pellami, ma anche oggetti di ogni tipo, la mercanzia più varia e disparata, e poi i prodotti della terra. L’anno successivo non se la sarebbe fatta sfuggire per nessun motivo al mondo quindi, per non rischiare, rigò dritto giorno dopo giorno. A volte aiutava suo nonno, che lavorava al mulino vicino al ponte, altre volte stava sotto i portici con i suoi genitori e spazzava sotto i tavoli, accumulando in un angolo i ritagli di cuoio, i pezzi di filo da ricamo: il resto del tempo lo passava alla finestra, ma solo se aveva già fatto tutto il resto. Arrivarono così l’inizio di luglio e la fiera di Vessalico. Alia si pettinò per più di un’ora, scelse un vestito di mussola bianca con il grembiule e la pettorina verde e salì emozionata sul carretto di suo padre: la madre le affidò anche la commissione di comprare dell’aglio – quello di Vessalico era il migliore di tutta la Valle Arroscia – e le diede dei denari con cui si sarebbe anche potuta comprare un sacchetto di frittelle dolci. Arrivati a Vessalico il padre e Alia si diressero subito ai banchi dei pellami, di fronte ai quali, neanche a farlo apposta, c’erano quelli dei prodotti agricoli. Le donne avevano disposto le teste d’aglio, a cui non avevano staccato i lunghi fusti dal caratteristico colore rosso-rosa, nelle ceste di giunco e li vendevano a mazzi. Alia estrasse le monete dalla tasca del grembiule e ne comprò tre mazzi con la stessa fierezza di chi, ad un’asta di opere d’arte, si è appena aggiudicato un pezzo raro. Il padre, invece, non concluse altrettanto rapidamente i suoi affari e disse ad Alia di sedersi lì vicino e di aspettare pazientemente. Dopo un’ora erano ancora lì, lui a cercare di abbassare i prezzi, lei con il sacchetto dell’aglio in mano e un po’ di stanchezza addosso. Per far passare il tempo, iniziò a giocherellare con i bulbi odorosi e a intrecciare tra loro i fusti secchi, ricordandosi di come aveva fatto l’anno addietro la madre con i suoi capelli. Che giorni terribili erano stati quelli! Ogni mattina veniva pettinata con cura, ma poi, invece di potersi accarezzare le chiome setose, tac!, puntuale come le disgrazie, doveva subire il momento mortificante della treccia. “Non ti lamentare, se fossi veramente cattiva come dici, te li avrei tagliati questi capelli…” le diceva la madre e Alia non poteva far altro che star zitta, temendo un inasprimento della punizione. Mentre Alia ripercorreva con la memoria quel periodo per fortuna lontano, intorno a lei si formò un capannello di donne che guardavano ammirate le trecce fatte dalla bambina con i fusti dell’aglio. Non solo erano bellissime e avrebbero attratto i clienti, ma appendendole così, ne avrebbero potuto esporre molte di più e non c’era il rischio, in caso di pioggia, che marcissero. Una delle donne chiese alla bambina come le era venuta l’idea e di mostrarle come si faceva. Alia fu lusingata di poter spiegare ad un adulto la sua tecnica, ma non volle dire altro.
Se capitate a Vessalico il 2 luglio andate alla fiera: vedrete che l’aglio è diventato il protagonista principale e che ancora le donne lo presentano a trecce, così come aveva fatto Alia, che nonostante ripetute richieste, non ha mai rivelato il suo segreto.

Scheda aglioL'aglio di Vessalico (IM) sopravvive in località isolate e poco valorizzate turisticamente. I terrazzamenti sui quali viene coltivato ormai da secoli - la data d'istituzione della "Fera dell'aiu" è il 1760 - non superano, complessivamente i sette ettari: su queste fasce, alla coltura dell'aglio si succedono, in rotazione, quella della patata, delle fave e dei piselli. I produttori locali, da generazioni, si tramandano "la semenza", unitamente alla tradizionale tecnica di coltivazione e a quella di confezionamento. Le operazioni colturali sono semplici ma faticose: gli spicchi, tenuti a bagno per una notte, vengono seminati in solchi scavati a mano. L'assoluta assenza di trattamenti fitosanitari ha permesso all'aglio di Vessalico di ottenere la certificazione di prodotto biologico. La treccia, o "resta" non rappresenta un fatto puramente ornamentale: le piante intere, disseccandosi lentamente, continuano a nutrire il bulbo, mantenedolo sano e profumato fino a oltre otto mesi dalla raccolta. Recentemente un progetto di valorizzazione ha permesso all'aglio di Vessalico di essere inserito nell'elenco nazionale dei "prodotti agroalimentari tradizionali della Regione Liguria". La volontà e l'impegno di un gruppo di agricoltori della Valle Arroscia, particolarmente attenti al mantenimento delle tradizioni, ha portato nel 2000 alla nascita della cooperativa "A Resta", che ha lo scopo di valorizzare questo prezioso prodotto. La cooperativa prepara anche l'aiè, salsa d'aglio, simile all'aïoli provenzale, che viene data in assaggio nelle sagre locali. Annualmente il 2 luglio si svolge la tradizionale fiera, divenuta nel tempo un appuntamento per migliaia di visitatori, anche stranieri.




Lorenza Russo

Da anni scrive di escursionismo e ambiente in libri, articoli e favole. Alla Liguria ha dedicato una guida gastronomica del Finalese. La favola sull'aglio fa parte di un volumetto (illustrato) di prossima pubblicazione...

martedì 29 novembre 2011

Pànera







Ci scrive il segretario dei Liguri nel Mondo e della Delegazione San Paolo (Brasile) dell'Accademia Italiana della Cucina, chiedendoci la ricetta della famosa pànera, che gustava anni fa al bar Balilla di Genova. "Panna nera" ottocentesca, è un semifreddo deperibile, per favore non confondiamolo con prodotti commerciali. Ecco la ricetta (è molto semplice, già descritta dal Ratto e dal Rossi) insieme al nostro più cordiale arrivederci...



Ricetta (ingredienti e quantità)1 hg di caffè "arabica" macinato grossolanamente, 2 l di panna di latte fresca, 4 hg di zucchero

PreparazioneIn un comodo recipiente sciogliere il caffè nella panna, quindi mettere su fuoco tenue o ancor meglio cuocere a bagnomaria. Mentre s’avvicina al bollore aggiungere lo zucchero, girando con un mestolo o spatola di legno affinché si sciolga. Il composto, addensatosi, deve poi riposare fin quando il caffè non si sia posato sul fondo. Infine colarlo attraverso un panno filtrante fitto, “arrestando” il caffè. Si versa la pànera nella sorbettiera e il semifreddo è pronto (niente uova)… La preparazione senza sorbettiera finale la consiglio ad appassionati capaci e pazienti

Umberto CurtiLigucibario & Liguvinario
Storia e tradizione della pànera li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/

venerdì 11 novembre 2011

Nikka domanda: cosa significa finger food?



...significa cibi di strada, stuzzichini, cartocci golosi da spiluzzicare ungendosi le dita… L’Italia intera ne è costellata, la schiscetta (con la mortadella) trasversalmente alla pianura padana da Lombardia ad Emilia, le focacce i frisceu i cuculli e le farinate in Liguria, i pesciolini marinati in Veneto, il panino col lampredotto nelle “buche” fiorentine, il “cinque e cinque” a Livorno (pane e cecìna), sgabei in Lunigiana e via via piadine in Emilia Romagna, lo gnocco fritto a Modena, l’erbazzone a Reggio Emilia, il pinzone a Ferrara, le olive all’ascolana, il panino con le spuntature anconetano, il pane e porchetta e i supplì di riso nel Lazio, la pizza i calzoni e i bomboloni (fritti) in Campania, i panzerotti a Foggia, il morzeddu in Calabria, gli arancini la panella e gli sfincioni in Sicilia… Ti è venuto appetito? Stai cercando un "pizzicagnolo"?



Umberto Curti, Ligucibario & Liguvinario

mercoledì 23 febbraio 2011

LA CUCINIERA GENOVESE DI GIOBATTA RATTO




Giobatta Ratto è l’apprezzato autore de “La cuciniera genovese. La vera maniera di cucinare alla genovese” (1863), edita dai celebri fratelli Pagano forse come strenna di Natale, un forziere di carta contenente 481 ricette. Il pubblico lo pagava una lira e sessanta, oppure quattro per la versione di lusso. Prima non v’era stato altro, se non i meticolosi versi in dialetto di Martin Piaggio (o scio Reginn-a) dedicati ai principali piatti della patria, versi che però non menzionavano né il cappon magro né – udite udite – il pesto. Nella “Cuciniera” il nome del compilatore, Giobatta Ratto, comparve in realtà solo alla terza edizione, e quello del figlio Giovanni alla successiva (Giovanni si specializzò poi in stampe ed editoria musicale). Di costoro non si sa granché, ma verosimilmente furono persone formate e benestanti, il saggio gastronomico rimastoci conferma il loro meritorio tentativo di porre finalmente a sistema una materia “local” nient’affatto semplice. Finalmente in quanto altrove il Romanticismo di fine ‘700, celebrando le nazioni, aveva già sortito frutti che oggi, meno acerbamente, chiameremmo etno-gastronomici. Tuttora, come noto, la cucina italiana si configura in realtà come un insieme di straordinari background regionali, di campanili fieri… E finalmente anche in quanto i cuochi si limitavano a tramandare oralmente e ruvidamente quanto avevano imparato a propria volta dall’apprendistato esperienziale. Poiché, due anni dopo il Ratto, uscì in Toscana (poi a Milano per le edizioni Bietti), a firma di Emanuele Rossi “La vera cuciniera genovese facile ed economica ossia maniera di preparare e cuocere ogni genere di vivande”, la querelle fra le due pubblicazioni s’accese immediata e intensa. Chi parteggiava per il Ratto dava del contraffattore al Rossi. In entrambi i titoli, peraltro, ricorre l’aggettivo “vera”, circolavano dunque cuciniere inaffidabili? Nel 1910, comunque, dei due ricettari compose una sintesi Emerico Romano Calvetti, “La cucina popolare genovese”, una sforbiciata meritoria visto l’eccesso di proposte - soprattutto nella raccolta del Rossi, carica di 654 ricette - , che oramai, inseguendo l’internazionalità, rischiavano di “tradire” la natura mediterranea e parsimoniosa della cucina di Genova (porto emporio) e degli altri territori ad essa limitrofi. Una cucina che via via mixò ingredienti base e apporti “concettuali” di diversa provenienza, ma conservò un’identità nitida e salubre, l’olio, le farinate, la mes-ciùa, il pan cotto, la caponadda, il pesce “povero”, il quinto quarto, le formaggette ovine, il castagnaccio, i biscotti secchi. Qualche volta il coniglio e l’agnello più che la carne rossa. Dalle Crociate in poi, l’import di frutta secca, spezie, zucchero ecc. consentì una maggior fantasia, sempre assai sagace. Ma, nell’essenza, niente a che vedere, malgrado tutto, con gli estri dei principali chef di corte, che a gara strabiliavano i convitati. Se Emanuele Rossi si mostra più un intellettuale genericamente prestato ai fornelli, Giobatta Ratto, da esperto di settore, completa viceversa il proprio ricettario con 6 capitoletti dedicati ai requisiti della buona cuoca, ai consigli per approvvigionarsi, alla manipolazione e cottura dei cibi, al modo di preparare e conservare carni ecc., alla stagionalità dei pesci acquistabili sul mercato di Genova nonché al conseguente modo di cucinarli. Inscrive cioè la propria “Cuciniera” in quel filone di ricettari che – dall’età apiciana e poi medievale/rinascimentale – non solo istruiscono circa l’esecuzione dei piatti, ma anche circa la selezione, la lavorazione e la “manutenzione” dei diversi alimenti, riservando adesso grande attenzione al vano cucina e agli utensili (i progressi dell’agricoltura facevano giungere in città – metropoli “patrizia” e aperta - idonee quantità di ottimi prodotti, ormai anche le patate e i pomodori). Ma Ratto realizza un abecedario tanto più importante quanto più, a fine ‘800, chef, brigate e quant’altri non disponevano ancora di tutte quelle attrezzature oggi indispensabili all’igiene e sicurezza e… date per scontate. Chiudeva il compendio un glossarietto dei termini dialettali a cura dell’autorevole Giovanni Casaccia, cui dobbiamo un monumento sotto forma di dizionario italiano-genovese. Chi voglia approfondire la visione del mondo di Ratto prenda in primis l’emblematica ricetta dei ravioli, che grazie ai vegetali nella farcia si differenzia immensamente da quella piemontese e da tanti altri tortelli, e sviluppa profumi ineguagliati. Profumi della Liguria, e basta la parola...


Umberto Curti, Ligucibario & Liguvinario

mercoledì 16 febbraio 2011

Focaccia genovese



Ricetta casalinga per una teglia (lama) da 6-8 persone1 kg di farina 00 rinforzata (20% farina speciale), 50 grammi di olio extravergine (mai lo strutto!), altri 100 grammi di evo per irrorare l’impasto una volta disteso nella teglia, 20 grammi d’estratto di malto (che darà colore), 20 grammi di sale fino, 35 grammi di lievito di birra, mezzo litro abbondante d’acqua.

PreparazioneLa ricetta comporta un’assai lunga preparazione (occhio alle temperature e all’umidità!). S’impastano armoniosamente i vari ingredienti escluso il sale (una macchina a forcella richiederebbe 30 minuti, a spirale 15). L’impasto deve immediatamente lievitare per un’ora, possibilmente su ripiano di legno e in luogo umido e chiuso, e poi – pezzato per la teglia – per altri 20 minuti. Divenuto elastico, è delicatamente stirato, senza pressarlo, dentro la teglia, prima di ricevere i conclusivi acqua (una spruzzatina), olio (100 grammi), sale q.b. e colpi di dita. I colpi di dita creano alveoli superficiali, ombelichi piacevoli a vedersi, dove si deposita l’olio, attenzione a non bucare la pasta... L’impasto riposerà infine altre 2-3 ore, ove possibile in cella a 40° e umidità 85%. Cottura ben viva, 20 minuti a 220°. Il miglior partner della focaccia genovese è un Vermentino (vino presente in molte aree mediterranee e addirittura in 4 DOC liguri), proposto a 10-11° in calici a stelo alto.

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione della focaccia li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia

Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/

martedì 15 febbraio 2011

Frisceu di baccalà (frittelle)


Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)Mezzo kg di baccalà già ammollato per 48 ore (ogni tanto cambiando l’acqua), 150 g di farina '00', olio extravergine, sale q.b. (con moderazione)

Preparazione (tempo circa 45 minuti)Il pesce (è merluzzo bianco gadus morhua sotto sale*) va desquamato e diliscato, poi spezzettato a mo’ di scaloppine regolari di circa 5 cm di lato. Si realizza intanto una pastella – morbida, che lo avvolga - con farina, acqua intiepidita (con un po’ di vino bianco secco), una cucchiaiata d’olio e una presina di sale, e dopo averla fatta riposare una trentina di minuti vi si immergono i pezzi di pesce. L’impasto, utilizzando sempre un cucchiaio, si versa in abbondante olio bollente dentro una padella, dopo alcuni minuti è pronto. Si toglie dall’olio, si asciuga e si serve in tavola, se occorre con un’ultima spolverata di sale. I frisceu non vanno confusi coi cuculli, che nascono a base di farina di ceci. L’abbinamento enologico suggerito è ad es. un DOC Riviera ligure di ponente Vermentino, o un bianco spumantizzato che con un po' di carbonazione “sgrassi” la bocca. Nota bene, la pastella viene preparata anche in altri modi molteplici, con uovo, lieviti, acqua frizzante…
* lo stoccafisso è il medesimo pesce ma essiccato

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione dei frisceu di baccalà li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/





lunedì 14 febbraio 2011

Pan cotto


Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)4 michette di pane avanzato (circa 3-400 g), 3 cucchiai di parmigiano grattugiato, 3-4 spicchi d’aglio, origano, olio extravergine, sale q.b.

Preparazione (tempo 20 minuti circa)Salare e bollire a fuoco medio dell’acqua, circa 1 litro, aggiungendo l’olio e gli spicchi d’aglio integri (senza camicia). Quando l’aglio è cotto unire il pane raffermo (pane indurito, non integrale) spezzettato a tocchi, l’origano e il parmigiano. Provocare ancora un bollore vivo e poi servire subito, caldo, con un ultimo filo d’olio evo a crudo. Ottimo – e nutriente - anche preparando con brodo di carne e aggiungendo uova sbattute. L’abbinamento enologico suggerito è ad es. un DOC Ormeasco sciac-trà (rosato). Tipico di Vezzano Ligure (SP), ma anche di Genova, recupero creativo del pane vecchio, la povertà acuiva l’ingegno. Ove presenti, basilico e pomodoro lo avvicinano al pan cotto del Sud Italia, che gradisce anche zafferano e peperoncino. Ricette tutte antiche, tanto che Costanzo Felici scriveva nel ‘500 a proposito del pane: “Ma poi le variate minestre che da esso nascono! Prima vi è il pan cotto o pan bullito, vi è il pan grattato… minestre compastate con brodi come con acqua semplice poi condite con olio o con noce o con amandole o con latte o con formaio o con pevere o altre spetie”

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
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venerdì 11 febbraio 2011

Condiggiòn (insalata mista)

le belle gallette del marinaio
del panificio Maccarini a San Rocco di Camogli


Ricetta per 4-6 persone (ingredienti e quantità)
Pomodori non troppo maturi (cuori di bue), cetrioli, peperoni piccoli (privati di pellicine e semi), sedano (talvolta) e finocchi (talvolta), olive nere liguri in salamoia, cipolle fresche, acciughe sotto sale (o 50 g di mosciamme), foglie di basilico, insalata a piacere, gallette del marinaio, olio extravergine ligure “di frantoio”, aceto, aglio di Vessalico, sale

Preparazione (tempo 30 minuti circa)
Si strofinano le gallette con l’aglio, si ammorbidiscono in poca acqua e aceto, poi si dispongono sul piatto da portata, o in un grilletto di terracotta. Si coprono con le verdure tagliate/affettate, unendo acciughe e/o mosciamme, e condendo con profusione di olio, sale e un po’ di aceto (se piace, sebbene poco filologico, anche quello balsamico). Si decora infine il piatto con le profumate foglioline di basilico (talora di menta) e le olive nere, ad es. le taggiasche. Come si nota, è un’antica ricetta a crudo, soprattutto estiva, semplice semplice, basilico e cetriolo la differenziano dalla nizzarda. L’abbinamento enologico è reso difficoltoso dalla presenza di pomodori, acciughe, aglio, aceto… Si tenta – arditamente - con un Vermentino...di carattere

Umberto Curti
Ligucibario & Liguvinario
Storia e tradizione del condiggiòn li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/

giovedì 10 febbraio 2011

Fricassea di scorzonera


Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)4 mazzi di scorzonera (“barba di prete”), 1 ciuffo di prezzemolo, 3 uova, mezza cipolla, 1 limone, 1 bicchiere d’extravergine, brodo (di carne o di dado), sale q.b.

Preparazione (tempo… variabile)Contorno celebre, è una “fracassata” di radici, chiamate scorzonera dal catalano “escurso” (vipera), in quanto ritenute antidoto al veleno di quel rettile. Nettare (raschiare), sciacquare e bollire la scorzonera in abbondante acqua salata (e acidulata), tenendola al dente, quindi sgocciolarla e tagliarla in pezzi o a fettine. Rosolare nell’olio la cipolla e il prezzemolo tritati, gettarvi la scorzonera regolando di sale e diluendo via via con un poco di brodo (no burro) per insaporirla. Intanto in una ciotola profonda sbattere le uova col succo di 1 limone, togliere la scorzonera dal fuoco e irrorarla, rimescolando affinché le uova si rapprendano. Se occorre, rimettere un momento sul fuoco. Impiattare caldissime, anche con una spolverata di prezzemolo tritato. L’abbinamento enologico suggerito, vista la nota dolce del piatto, è ad es. un DOC Colli di Luni Bianco. Lessata, la scorzonera entra talvolta anche nel cappon magro

Umberto Curti
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Storia e tradizione della fricassea di scorzonera li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
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mercoledì 9 febbraio 2011

Panigacci (panigazzi)

panigacci: delizia di confine fra 3 regioni

Ricetta per 6-8 persone (ingredienti e quantità)1 kg scarso di farina bianca “0”, 1,8 l d’acqua, sale

Preparazione (tempo 15 minuti circa) Non esiste una ricetta unica e univoca, ma va sottolineato che questo impasto è più denso rispetto ai testaroli e che la cottura prevede d'impilare i panigacci in piccoli testi a bordo un po' rialzato che vengono fatti arroventare. 
Bagnare la farina con due bicchieri d’acqua, regolare di sale e lavorare l’impasto lasciandolo piuttosto fluido (come per le frittelle). Scaldare i testi * sopra un fuoco di legna, in genere va ottimamente il legno ligure, sino a che siano incandescenti. Porre – senza scottarsi! - il primo testo sul pavimento, riempirlo con un mestolo di pastella, coprirlo col secondo testo e così via, sino a comporre una colonna di 6-7 sino a 10-12 testi pieni di pastella. Lasciarli così per circa 5 minuti, in modo che la pastella cuocia su ambo i lati, e quindi togliere i panigacci ormai cotti (più morbidi o più croccanti secondo il gusto). Ancora caldi si dispongono in ceste di vimini e si accompagnano a salumi e formaggi locali, a mo’ di piadine, oppure si condiscono con olio e parmigiano grattugiato, o con agliata. Sono molto digeribili in quanto non lievitati. L’abbinamento enologico suggerito è strettamente in funzione del “partner”, esistono infatti formaggi e salumi che chiedono vini di diverso impegno. La parola panigacci deriva da panìco, un cereale affine al miglio, antica graminacea asiatica che oggi si usa oramai solo per il becchime, sostituita da mais e risi. Di testi (il diametro per i panigacci è circa 15 cm) esiste ancora un ottimo fabbricante a Iscioli, frazione di Ne (GE)
* teglie con orli bassi o comunque dischi di materiale vario, ghisa, ferro…, adatti a fiamme e a braci, “antiaderenti”

Umberto Curti
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martedì 8 febbraio 2011

Reginette con le uova

Ricetta per 4 persone (ingredienti e quantità)200 g di reginette, 3 uova, 1,5 l di brodo di carne (o in emergenza di dado), 50 g di parmigiano o grana padano grattugiato, 2 cucchiai di persa (maggiorana) fresca, 1 spicchio d’aglio, noce moscata e sale q.b.

Preparazione (tempo 30 minuti circa)Le reginette sono fettuccine talora crespate ai bordi, molto amate al Sud, larghe circa 1,5 cm e che richiedono una decina di minuti di cottura. Si prepara il brodo immergendovi anche lo spicchio d’aglio spellato e la persa. Quando bolle, si elimina l’aglio e vi si gettano le reginette. Intanto in una ciotola si sbattono le uova col formaggio e un poco di noce moscata (se serve, anche un po’ d’olio extravergine ligure), diluendo con un mestolino di brodo. Quando la pasta è cotta, togliere dal fuoco e aggiungere lentamente il composto rimestando bene, finché si rapprenda. La minestra è da servire calda, piatto delicato, simile alla stracciatella dell’Emilia. Si spolvera di parmigiano. L’abbinamento enologico suggerito è ad es. un DOC Golfo del Tigullio Bianco

Umberto Curti
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