Ricetta (ingredienti e quantità)
Mezzo kg di farina medio-forte (W 260 circa), 180 g di zucchero, 40 g di lievito di birra (ma i più esperti possono privilegiare la pasta madre), 120 g di burro, 15 g di semi di finocchio, una presina di sale
Preparazione (tempo: ricetta molto lunga a causa del riposo degli impasti)
Sul piano da impasto si crea una fontana con circa 130-150 g di farina. Vi si pone dentro il lievito frantumato e mezzo bicchiere d’acqua, lavorando bene fino ad ottenere al tatto un amalgama liscio e alquanto morbido. Ricavata una sfera, la si lascia a riposare in una ciotola (preventivamente infarinata) coperta da un panno, presso una fonte di calore, affinché lieviti e raddoppi le proprie dimensioni. Sul piano da impasto si crea ora una nuova fontana con la restante farina, unendo una presina di sale, il burro disciolto, lo zucchero, il finocchio aromatico, la sfera lievitata e, ove occorresse, un poco d’acqua. Il tutto viene impastato onde ricavare un amalgama liscio e morbido. Verrà posto a riposare e lievitare in una ciotola, coperto, presso una fonte di calore, per almeno 60 minuti. Quand’è lievitato si sgonfia battendolo un po’ e si divide in due o più filoncini, della misura che si preferisce, i quali vanno in forno sulle placche da forno (imburrate), 180° per almeno 20 minuti. Sfornati, riposeranno una nottata sempre sulle placche e l’indomani saranno affettati (spessore 2 cm circa) e ricotti, vale a dire biscottati, una mezz’ora sulle placche in forno, a 200°. Diventano croccanti. Si consumano freddi, tipicamente dall’Ottocento all’ora del thé, ma durano bene, in quanto privi d’uova, nelle classiche scatole di latta (da collezione!) chiuse ermeticamente. Sono deliziosi con burro e confettura, o miele. Prendono il nome dalla cisterna (oggi prosciugata) che l’ammiraglio onegliese Andrea Doria fece realizzare a Genova-Granarolo nel 1539 per alimentare la fontana del palazzo eretto vicino al mare. A Sarzana (SP) e altrove li chiamano anche biscotti della salute. L’abbinamento enologico – mi raccomando - prevedrebbe sempre un passito ligure (lo Sciacchetrà!), o un vin santo toscano, finanche un Marsala non troppo vintage…
Umberto Curti
Ligucibario & LiguvinarioStoria e tradizione dei biscotti del Lagaccio li trovi nell’Alfabeto del Gusto di Ligucibario, il sito dedicato al made in Liguria e all’etnogastronomia
Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/
Mezzo kg di farina medio-forte (W 260 circa), 180 g di zucchero, 40 g di lievito di birra (ma i più esperti possono privilegiare la pasta madre), 120 g di burro, 15 g di semi di finocchio, una presina di sale
Preparazione (tempo: ricetta molto lunga a causa del riposo degli impasti)
Sul piano da impasto si crea una fontana con circa 130-150 g di farina. Vi si pone dentro il lievito frantumato e mezzo bicchiere d’acqua, lavorando bene fino ad ottenere al tatto un amalgama liscio e alquanto morbido. Ricavata una sfera, la si lascia a riposare in una ciotola (preventivamente infarinata) coperta da un panno, presso una fonte di calore, affinché lieviti e raddoppi le proprie dimensioni. Sul piano da impasto si crea ora una nuova fontana con la restante farina, unendo una presina di sale, il burro disciolto, lo zucchero, il finocchio aromatico, la sfera lievitata e, ove occorresse, un poco d’acqua. Il tutto viene impastato onde ricavare un amalgama liscio e morbido. Verrà posto a riposare e lievitare in una ciotola, coperto, presso una fonte di calore, per almeno 60 minuti. Quand’è lievitato si sgonfia battendolo un po’ e si divide in due o più filoncini, della misura che si preferisce, i quali vanno in forno sulle placche da forno (imburrate), 180° per almeno 20 minuti. Sfornati, riposeranno una nottata sempre sulle placche e l’indomani saranno affettati (spessore 2 cm circa) e ricotti, vale a dire biscottati, una mezz’ora sulle placche in forno, a 200°. Diventano croccanti. Si consumano freddi, tipicamente dall’Ottocento all’ora del thé, ma durano bene, in quanto privi d’uova, nelle classiche scatole di latta (da collezione!) chiuse ermeticamente. Sono deliziosi con burro e confettura, o miele. Prendono il nome dalla cisterna (oggi prosciugata) che l’ammiraglio onegliese Andrea Doria fece realizzare a Genova-Granarolo nel 1539 per alimentare la fontana del palazzo eretto vicino al mare. A Sarzana (SP) e altrove li chiamano anche biscotti della salute. L’abbinamento enologico – mi raccomando - prevedrebbe sempre un passito ligure (lo Sciacchetrà!), o un vin santo toscano, finanche un Marsala non troppo vintage…
Umberto Curti
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Le più importanti parole relative a vino, formaggio, pasticceria, pasta, salumi, olio, birra e cucina (compreso un focus specifico sulla cucina araba) le trovi nel Lessico delle Arti Alimentari, sempre su http://www.ligucibario.com/
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